Forse si era già capito che in quanto a colazioni ho gusti strani. Questa mattina yoghurt di soia ai cereali, frutta secca, cioccolato, semi vari… e un’intervista a Roland Barthes pubblicata nel 2014 e ripubblicata oggi su Le parole e le cose.
Potessi, la ricopierei qui. Citarla a pezzetti mi sembra crudele, ma devo provarci (e poi le interviste son sempre composizioni di pezzetti di vita e pensieri di qualcuno, ma se chi intervista è bravo hanno la forma di vere conversazioni, ed è questo il caso)…
Subito mi parla perché quest’anno ho deciso di iniziare il mio quaderno così, “con politica e distanza, linguaggio“. Ero ad Harlem a New York e in Italia erano i giorni “di Ventimiglia”, dei migranti a protestare sugli scogli, chiusi nei sacchi d’argento dati loro per la notte.
È difficile situarsi. Si può adottare un atteggiamento combattivo, oppure un atteggiamento più filosofico e più saggio: di presa di distanza… C’è anche un problema di struttura psicologica personale: io non amo la violenza, è un problema che non so risolvere. E poi, che cosa può fare lo scrittore? I mezzi di un tempo sono logorati, firmare petizioni è derisorio, scrivere vuol dire scrivere per gli intellettuali: è acqua sulla gomma, ça glisse, scivola via… Ecco, non so che fare, sono disorientato.
Continua ricordandomi riflessioni che ho fatto spesso (da quando è emersa sui media una trattazione di un certo tipo della “questione islamica”) e soprattutto dopo l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo, con conseguente polemica sulle vignette che ritraevano Maometto (ne parlavo qui):
Ma forse anche i media scivolano via: sulle masse…
«È una riflessione che andrebbe fatta. I media forse non mordono. Ma creano immagini. Le società avanzate attuali hanno un consumo enorme di immagini e un consumo minimo di credenze. Nelle società islamiche avviene il contrario. Così, le società liberali sono meno fanatiche, ma meno autentiche. Sono dominate da un immaginario generalizzato quale non è mai esistito al mondo… Persino la Chiesa cattolica: l’immaginario è intatto, la credenza…».
E infine mi ricorda due libri letti, diversi tra loro, che ho trovato o mi hanno cercato:
…Il testo che tu scrivi deve fornirmi la prova che mi desidera. Questa prova esiste: è la scrittura. La scrittura è questo: la scienza dei godimenti del linguaggio, il suo kamasutra (e di questa scienza c’è un solo trattato: la scrittura stessa)…
Il primo è L’ora di lezione – Per un’erotica dell’insegnamento, di Massimo Recalcati. Parla di desiderio alla me che insegna una lingua, linguaggi.
Il secondo è La società della stanchezza (di Byung-Chul Han, tradotto da Federica Buongiorno), una stanchezza che mi ha curato.
Ha scritto di sé, in quel libro su Roland Barthes: «A volte ha voglia di lasciar riposare tutto quel linguaggio che c’è nella sua testa, nel suo lavoro, negli altri, come se il linguaggio fosse anch’esso una delle membra affaticate del corpo umano; gli sembra che se si riposasse dal linguaggio, si riposerebbe tutto intiero, grazie a un congedo concesso alle crisi, agli echeggiamenti, alle esaltazioni, alle ragioni, ecc. Vede il linguaggio nelle parvenze di una vecchia donna affaticata…»
…e quella donna: sono io.
…
cioccolato, frutta secca…condivisione che non stecca! Poi vedrò il resto…ma Ingrassia non troppo!
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che bello che commenti spesso! ho in testa sempre più collegamenti con il resto di me e mai abbastanza col resto del mondo! e in pancia tante cose buone,Bukowski e Barthes compresi! Li mangerei e tradurrei e leggerei in continuazione! ❤
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