Nello stesso cinema di Voyage en Barbarie – Under the skin, ho visto I ricordi del fiume sulla mia amata odiosa Torino, che diventa stretta, borghese, turistica, gentrificata, vetrina, comfort e che ne so.
Oddio, dire che è su Torino è sbagliato.
Lo è per me perché ci ho vissuto, perché ci fossi restata avrei voluto occuparmi di comunità rom, ma è appunto sui rom questo documentario azzurro, freddo, ma molto vivo. Ne ho apprezzato la videocamera i microfoni gli obiettivi senza giudizio.
E ho pianto quando la ruspa abbatte l’accampamento storico. E non piangevo per la “visione”, ma per la “lettura”. Non so se mi spiego.
E’ che la ruspa è una metafora oltre che una realtà da un po’ di tempo. L’ha messa su Salvini e quando la gente parla di ruspa parla di quella roba lì: antipatia senza senso che ti sale dallo stomaco, violenza del linguaggio, violenza anche dei gesti, intolleranza, odio, voglia di annientare alcune categorie di persone.
E’ che “vedi” questa ruspa cieca (che distrugge tutto con agghiacciante meticolosità e combatte con una roulotte che sembra viva e nessuno ci dice se è quella della donna che piangeva e implorava la polizia di aiutarla ad agganciarla ed a spostarla, di tutto il resto poi fate come volete) ma “leggi” quella mattina di giugno del 2011 a Chiomonte, che dopo allora quante cose non puoi più vederle ma solo leggervi il significato che ci hanno sovrascritto (i fuochi d’artificio –> la sveglia all’ora dell’attacco; la lavanda –> la valle; l’elicottero: l’accerchiamento; il sottobosco, la fuga; la fontana, salvezza; quel mucchio di pietre, il mare; i bossoli dei lacrimogeni nel fiume, morte), “leggi” quella mattina comunque – quando prima del caos, del gas CS, dell’accecamento, del bosco in salita senza sapere se la polizia ti sta seguendo – tutti accorrevano al guardrail dell’autostrada chiusa al traffico e mettevano i loro corpi tra la ruspa e la montagna, mettevano i loro corpi tra quello che volevano salvare e quello che lo voleva distruggere e quello però distruggeva, distruggeva, muoveva questo braccio e in modo sinuoso, come braccio umano, e lo abbatteva con grazia atroce sul ciglio della strada e sui piedi delle persone in prima fila, gente che in Val di Susa c’ha la casa ma la ruspa e il suo braccio, così umano e sinuoso, della casa se ne fregano, del mondo, del fatto che sappiamo leggerci dentro, e spaventarci.
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