Il giorno dopo.
Il giorno dopo hai consegnato una traduzione urgente che ti avevano assegnato, saputo che da lunedì torni a insegnare all’alberghiero della tua città, dormito (poco), bevuto caffè dolciastro (molto) e te nero agli agrumi (ancora di più) e puoi finalmente leggere gli articoli su Charlie Hebdo che avevi lasciato in attesa, e riordinare le idee.
Leggi … una lista di vittime di un attacco… Ti viene da piangere.
E ti dici che devi scrivere qualcosa. Come migliaia di altre persone. Ben sapendo che tutti quelli che oggi dicono la loro su Charlie Hebdo un po’ sono sciacalli. Tu, come gli altri. È così. Almeno, tu ne sei cosciente.
Allora scrivi. Diffondi. Perché hai questa urgenza: vedi … che si aggiungono già altre vittime che non pagheranno il prezzo della loro libertà di coscienza sulla propria pelle, ma nell’anima sì… Quelli che abbiamo accusato senza prove, da subito dopo l’attentato. Già, sono stati “gli islamici”, ti ha suggerito Twitter.
Nei minuti che hanno seguito l’orrore, il partito dell’estrema destra belga Vlaams Belang ha definito le vittime “eroi della nostra Europa”. Lo sappiamo di che Europa si parla, solo quella dei bianchi. Ci viene in mente che questo partito ha dichiarato di voler proteggere il nostro paese dall'”annerimento”… Un partito che spinge all’odio.
Negli stessi istanti, dichiarazioni simili sono state fatte da Salvini, Santanché… Per questo sul mio profilo facebook ho usato le due foto che ho pubblicato ieri, e non la scrittona #jesuischarlie. Per questo il mio status recitava:
IO SONO CHARLIE
ma non se lo è anche Salvini.
E per questo ho tradotto e citato più su questo articolo (originariamente scritto in francese) intitolato:
Je ne suis pas Charlie
e comparso su un blog il cui sottotitolo mi ricorda la vignetta di provenienza araba di ieri pomeriggio:
Je pense donc je ne suis personne
Penso dunque non sono nessuno.
Perché subito è stata l’urgenza del senso di ingiustizia, la matita contro il kalashnikov, Davide contro Golia e l’epilogo parziale però è differente; ma subito dopo è stata la paura dei vari Charlie attorno a me, gente di merda le cui idee non meritano rispetto, perché non sono rispettose; non vanno tollerate, perché non sono tolleranti*.
Sono pieno di rabbia e vorrei che fosse la pietà per quei dodici morti prevalere in me, eppure mi sono accorto con orrore che ieri, nel sentire la notizia, ero quasi più preoccupato dell’ondata di razzismo che ne sarebbe derivata (anche se non mi aspettavo una cosa di questa portata) piuttosto che dispiaciuto per le vittime. I razzisti mi stanno rubando la capacità di avere empatia ed ho paura…
Le parole sono di Fouad Roueiha 18 ore fa su facebook, il grassetto è mio. Quindi: non sono (più) Charlie. Sono una che pensa già al peggio e senza nemmeno badare a tutti i particolari sospetti della storia (che allora sì diventa, come qualcuno l’ha definita, l’11 settembre della Francia!) già ne prevede le conseguenze: meno moschee, più sicurezza**, “sono tutti terroristi”, “e arretrati”, e già che ci siamo misogini – liberiamo le donne arabe dal velo (senza chieder loro che ne pensano of course, siamo mica qui a fare gli anti-coloniali!)…
Quando l’empatia fa dunque spazio alla rabbia, altre cose che penso o che leggo o che dico fanno cortocircuito dentro di me e scopro che, come dice il titolo del post, non sono mica tanto sicura di essere Charlie. Per esempio: bella la vignetta dell’amore che è più forte dell’odio e il bacio tra le caricature di due uomini, uno musulmano e uno bianco (autoritratto forse? quante cose non so dei membri della redazione di Charlie Hebdo!), con tanto di saliva in vista che fa tanto post-porno! Ma cosa dire del resto delle vignette? Qual è il limite fino a cui può arrivare la satira? Il limite c’è? Quando la satira diventa offesa? E non è ancor più grave se le offese corrispondono ai modelli imposti, e dipingono i soggetti esattamente come li dipingerebbero Le Pen, Salvini, Alfano? (*) Sono persone con idee che non difenderò mai, alla faccia del proverbio di incerta attribuzione voltairiana
Non sono d’accordo con quello che dici ma darei la vita perché tu possa dirlo!
Io difendo la libertà d’opinione, ma L’ODIO NON È UN’OPINIONE… Me lo ha ricordato chi protestava a Torino contro le “Sentinelle in piedi”, che pretendevano libertà d’espressione di idee omofobe. Anche su Charlie Hebdo, oltre all’amore più forte blabla, ho visto vignette odiose che non mi sono piaciute. Non mi hanno fatto ridere. Come le barzellette sessiste o il gesto delle corna di Berlusconi. Li considerate satira? Come i bestemmioni urlati a squarciagola in mezzo alla strada per far spaventare le vecchie. #JeSuisAthée, sono atea, ma conosco il volto di mia nonna quando sente qualcuno bestemmiare forte. Non mi fa ridere. Non è satira. E non sono quello. Non sono quel Charlie.
E non sono neanche Ahmed. Ahmed è il nome del poliziotto ucciso fuori dalla redazione di Charlie Hebdo. E ieri girava su facebook una foto che riprendeva, pure lei, la non-citazione di Voltaire e diceva (traduco dall’inglese):
Io non sono Charlie…
Sono Ahmed, il poliziotto morto.
Charlie era irrispettoso nei miei confronti
e ridicolizzava la mia fede e la mia cultura
e io sono morto per difendere il suo diritto di farlo.
Ecco no, mi spiace. Non sono credente. (**) E non sono una poliziotta, non ho bisogno di esserlo né di credere che la polizia mi salverà.
Non sono Charlie.
(Non sono Charlie l’islamofobo, non sono Charlie il bestemmiatore-spaventa-vecchiette.
Non sono Ahmed il musulmano, non sono Ahmed il poliziotto.)
So perché d’istinto ho detto il contrario: perché in “Charlie” ho visto la giornalista che volevo diventare da grande (e sì che all’epoca ero sboccata come loro!) e il diritto di satira e di critica e di espressione e solo dopo è venuta la testa al posto del cuore (al posto dell’empatia) e mi sono fermata a leggere, mi sono fermata a scrivere, mi sono fermata a riflettere, e so quello che sono:
IO SONO UNA TRADUTTRICE.
(Con tutto ciò che questo vuol dire e comporta…)
– – –
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[…] di “Charlie Hebdo” (di cui ho parlato a caldo qui e a mente un po’ più fredda qui), si è parlato tanto di Libertà d’espressione. Per questo motivo condivido la foto che la […]
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