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Archive for the ‘_Parole’ Category

Con un’amica si parla di noi e del mare e di Nizza e dell’azur della Côte d’Azur e a lei piace l’idea di noi vicine, di noi vicine vicino al mare. Mi scrive: 💙 vicinanza 💙 in mezzo a due cuori blu come le onde del mediterraneo francese, ed è in francese che mi viene il dubbio che la vicinanza non esista e quando controllo il dizionario me lo conferma, e allora mi chiedo (se questo non rifletta l’identità profonda di un ‘popolo’ e) come faccia un poeta a tradurla e la cerco su internet in Caproni, per trovare un testo e poi vedere come l’han tradotto.

Ma pare Caproni non abbia mai parlato di vicinanza. L’ha vissuta però, con Pasolini. E l’articolo parla anche della colleganza – che mi sembra un’altra parola bellissima – tra i poeti romani degli anni Cinquanta. E non ci avevo mai pensato al campo semantico della parola collega

E gliela attribuiscono, con Mario Pompilio: in un articolo che parla anche di verità da fare riaggallare… E con Testori su un post di CL di cui non vorrei mettere il link e che però è un bel post leale, per cui Caproni è stato appunto <<uno dei segni della possibile lealtà della poesia nei confronti dell’esistenza. Uno di quelli che ha tolto il “ma” che troppi discorsi e troppi professori solevano mettere, per dare una definizione che suonasse contemporanea, dopo il termine “poeta”. Poeta senza “ma”>>.

Io passo un brutto pomeriggio immersa in belle pagine di lingue e letterature, in un mare di inchiostro ogni onda una parola e ringrazio che mi sia venuto su quest’amore infinito per il testo scritto, non importa dove e come.

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Il libro interrotto perché non è mio, non posso sottolinearlo e allora sono perduta.

Il segnalibro-Catherine-Deneuve di Helmut Newton in mezzo 13 pagine fa, mentre là dove dovrei ricominciare a leggere c’è un foglio che ha ai lati tutte le pieghe che gli ha dato il mio letto (bello avere accanto al cuscino un buon libro che sa di fumo), sul quale ho iniziato a scrivere quel che non potevo annotare – solo che poi arrivava Pilar Ternera e tutto diventava così sesso e fumo che non ci si poteva fermare ai margini a riposare o pensarci. 

13 pagine di sesso e fumo. come questi 13 giorni in cui ho scritto così tanto, così spesso, così di carne e sigarette. Le rileggo, ricomincio, gambiarra anche se non mi sento debole affatto, il destino è un’abitudine

Da Internazionale della settimana scorsa, foto di un amico, parole del mondo

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A proposito di ripensare al Québec

C’è stata una sparatoria alla Moschea, già bersaglio di attacchi anti-islamici, e i media canadesi (e la polizia canadese) la chiamano “attentato terroristico”.

Le parole sono importanti, e anche se il Canada ha mille piccoli difetti nascosti sotto strati di pailettes (indossate con fierezza da Trudeau) per certi aspetti è avanti anni luce, e io vorrei essere lì ad abbracciare i fratelli e le sorelle musulmane conosciuti in 4 mesi, e a spiare Trump da più vicino.

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Pare che questo articolo fosse rimasto una bozza, dal 3 novembre. Ve lo regalo due mesi quasi tre dopo, ripensando al Québec.

Go!

Non è un anglicismo… È un altro regalo che mi fa Westphal nell’introduzione a La géocritique : réel, fiction, espace.

Dopo l’aune e l’autoérotisme, e derechef per ancora una volta… ecco per me tout de go = direttamente e liberamente, senza preamboli, e anche il verbo gober, divorare ma… per aspirazione!

È anche possibile se gober, ma lì ci si mangia forse con gli occhi, col cuore: perché significa avere una grande opinione di sé

E infine è possibile usare goal anche per indicare il portiere, che normalement al goal si oppone! Che meraviglia le lingue…

– – – 

PS) È un giochetto che avevo iniziato a Paris: lo continuo dal Singing Goat, Sherbrooke. È il loro Petit Robert del 2001 che ho fotografato, e pure dimenticando la parola di oggi 😀

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La nostra storia dal vocabolario ristretto in cui è necessario -quando non ci capiamo- davvero “credersi sulla parola”: credere che le hai attribuito un certo peso e significato, e annotare a mano sotto le voci ogni accezione personale.

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Cercavo l’aune sul Petit Robert del 2011 e ho trovato l’autoérotisme 

c’est-à-dire l’erotismo la cui sorgente [non à un calco, ma un rimando all’esplosione di liquidi] è all’interno del soggetto stesso, e non all’interno di una relazione in cui si è oggetto. 

Non sono contenta della mia traduzione, ma sono contenta di avere dei brividi per la parola oggetto, anche se è vero che c’è sempre una direzione nell’erotismo, o meglio due. Mi dico che lo scopo di ogni relazione erotica potrebbe essere cercare di restare due (o più) soggetti, io desiderante, tu desiderante e non solo desiderata/o… o magari farsi entrambi: desiderio!

– – – 

PS) È un giochetto che avevo iniziato a Paris: lo continuo dal Singing Goat, Sherbrooke. È il loro Petit Robert del 2001 che ho fotografato, e pure dimenticando la parola di oggi 😀

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Lasciavo da tradurre FLAMBOYANT ma ci provavo: (altro…)

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L’ho già detto che sono a Parigi?

E niente, mi sorprendo a rispondermi “il est qua” cercando il pc, e adoro il modo in cui le lingue cominciano a mischiarsi nella mia testa!

* * *

[Scritto il 23/08/2016, secondo giorno a Parigi, Canada -1, QUI il resto delle mie avventure parigine e canadesi…]

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Un’altra serie.

È così bello e facile stare meglio creando piccoli rituali legati alle cose che ci piacciono di più!

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Sono partita per Paris da cui partirò per il Québec. Non ho potuto portare con me i miei dizionari, le mie parole.

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Ma in questo appartamento pieno di libri e filosofie ho trovato un Larousse tascabile Français-Anglais e ho cominciato aprendo guarda caso su

LEA, langues  étrangères appliquées  (facile), leader e leadership  (pure) e finalmente leccare:

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Non contenta, volendo fare la prova all’indietro, cercando e non trovando wash up ho scoperto che il washout inglese è il fiasco (!) francese, sono capitata su roast-beef scritto rosbif e su nightie (pronunciato con -i- finale) per chemise de nuit.

Insomma, con questo gioco mi son fatta già prendere la mano…

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Nizza.
Nizza tante cose mi vengono in mente.
A Nizza ci vado a vivere a fine febbraio.
A Nizza una mia cara amica ha un appartamento.
A Nizza a lavorare come interprete per mio padre.
A Nizza a luglio…
A Nizza il mio primo topless.

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Svestirsi per il tuffo – Fosco Maraini

Io e Fede andavamo a Marsiglia e passavamo in spiaggia le ore tra un passaggio condiviso in covoiturage e l’altro. Lei leggeva Camus (o era Sartre?), io un deludente Izzo.
Voglio fare il bagno… Andare al mare e non fare il bagno per me è come andare a Torino e non vedere la Mole, venire in Italia e mangiare in un McDonalds, camminare su un prato e non mettersi scalza.
Accanto a noi una donna sui 50 anni prende il sole in topless nell’indifferenza totale. (altro…)

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Sto usando dei vecchi quadernoni del liceo
…e su uno ci ho trovato questo:

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Il linguaggio è un arazzo:

guardargli dietro.

scoprire fili rossi.

collegare punti lontani,
distanziarli ancora di più.

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Dirsi che ci amiamo in tutte le nostre lingue e poi chiederci se è giusto.

(E probabilmente sbagliare.)

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Qui quando c’è la partita la sera si sente un ronzio che viene tipo come da tutto il quartiere e ogni tanto si alza la tensione ma non parla nessuno perché ognuno ascolta la partita in una lingua diversa e molti non nella loro e il risultato è solo zzzzzzzz ZZ! ZZZZ! zzzzzzzzzzzzzzzzzz ZZZ GOL! (o una cosa del genere, ma stasera credo non abbiano ancora segnato, e se giocava l’italia dovevo aggiungere ai ronzii anche le bestemmie)

Qui quando c’è il tg il pomeriggio gli arabi si stanno urlando di tutto e io che non ho la tv non riesco a sentire una notizia che sia una (echissenefrega) ma poi si fa il silenzio e sono i funerali di Emmanuel e alla fine preferivi non sentire nulla del tg e gli urli sí invece (ché lo hai capito finalmente che non c’è rabbia, solo consonanti), poi si fa il silenzio e sono i funerali di Emmanuel e il pianto della compagna, le parole inutili del parroco, delle politiche, e alla fine gli arabi tirano su col naso e io tiro su col naso e loro continuano a urlarsi di tutto e io a non capire nulla, e tutto torna normale tipo che alla sera si guardano le partite, di giorno si occupano le case, si studia, si vende al mercatino abusivo quello che si è fatto trovare nell’immondizia, si chiacchiera tra vicini, si chiudono gli occhi e le orecchie di fronte a tanti Emmanuel, tanti arabi, molti studenti, tanti “altri”.

{Domenica 10 luglio 2016, finale Francia-nonsochi, scritto da arrampicata alla finestra come una scimmia, rivendicando animalità contro chi la usa come insulto, e anche pensando a Emmanuel morto di razzismo e di specismo, e a chi muore ogni giorno di indifferenza}

{foto sua}

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L’articolo originale è comparso su questo blog qui, che è interessantissimo e aiuta a decostruire un sacco di meccanismi e linguaggi, da seguire!

I grassetti sono miei; la foto, leggermente ritagliata, sua. Ho aggiunto pure un link su Breivik, nel caso ce lo fossimo dimenticati. E sui due senegalesi.

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Se l’assassino di Jo Cox fosse stato, che so, di lontane origini afghane e con simpatie fondamentaliste si sarebbe detto che è l’Isis che ci attacca. Sarebbe dilagato il malcontento contro tutto l’Islam. La popolazione musulmana sarebbe stata chiamata nelle piazze a chiedere scusa al mondo e a prendere le distanze dall’assassino e poi si sarebbe condannata la religione che viene attribuita alle persone solo per impropria collocazione geografica. (altro…)

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Nello stesso cinema di Voyage en Barbarie – Under the skin, ho visto I ricordi del fiume sulla mia amata odiosa Torino, che diventa stretta, borghese, turistica, gentrificata, vetrina, comfort e che ne so.

Oddio, dire che è su Torino è sbagliato.

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Ho visto il documentario Voyage en Barbarie – Under the skin e no, questo non è un post sulla traduzione dei titoli dei film. Anche perché “under the skin” è un po’ un sottotitolo, una citazione, o anche il naturale proseguimento della frase precedente, e di sicuro un dolore sottile, persistente, per tutta la durata dello “spettacolo”.

Che è in sostanza una raccolta di testimonianze di giovani eritrei rapiti e rinchiusi (e torturati) in prigioni sperdute nel deserto egiziano del Sinai per essere rilasciati solo in cambio di riscatto – più la testimonianza di un etiope, quella di un aguzzino, e quella di un Imam che si è opposto al traffico illegale di esseri umani della sua zona – tutte montate con sapienza, accompagnando lo spettatore delicatamente (per quanto possibile) in un viaggio violento fin dall’inizio ma che rivela le sue atrocità poco per volta. (altro…)

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18 aprile 2016

Offro in pasto alla mia retina i papaveri rossi ai bordi del binario 1 a Bra e il verde primaverile che nessun altro verde gli assomiglia – nemmeno quello estivo – e queste immensità di fiori gialli che mi sembra di stare in una rivisitazione pop artistica di una poesia di Van Gogh…
Ci bevo su un po’ di brezza d’aprile -più fresca di come te l’aspetti- e digerisco stanchezze tristezze arrabbiature e paranoie, il senso di colpa perché mancherò a scuola anche domani e dopo domani, e poi per qualche esame, ma ho bisogno di tutto questo *riposo compensativo*, di addormentarmi leggera questa notte e *con lo stesso peso* alzarmi la mattina e scendere nei vicoli, salire i tre piani del Polo didattico, mangiare qualcosa di sano e speziato, non chiedere niente al mare quando ci vedremo…

 

**

 …

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Humpty Dumpty

Segue un testo molto interessante sui/lle migranti, sulle parole, sui loro padroni e sciacalli (riferite quel “loro” a parole o a migranti, va bene comunque).  (altro…)

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Sinuoso. - O sincretismo brasileiro, fonte de riqueza para descobrir o sinuoso da historia, da fé e de um povo que afirma no meio de desigualdades injustas, sua alegria e esperança.

C’è un’altra cosa che mi ha colpito, quando ho letto Roland Barthes a colazione, e che venerdì non ho scritto. Non è propriamente una cosa: è una parola. Accade all’inizio dell’intervista:

tutto il suo lavoro è attraversato dall’interesse ai mezzi di comunicazione di massa…

«Sì, ma un interesse ambiguo. Il mio vero interesse costante è stato per la scrittura, la pratica letteraria, che implica una maggior sinuosità…». Se c’era una parola che avrebbe riassunto tutto, ecco, l’ha detta: «sinuosità»

L’ho mai detto che mi impiglio nelle parole? Questa volta è un impigliarsi bello, come quando cammino trasognata, troppo, e mi inciampo ma non cado e rido.

Sinuosità…

Una scrittura e una letteratura sinuose cosa sono? Come strade, strade di montagna, strade sterrate, o collinari, o che ti portano al mare, ti portano in altrovi migliori comunque.

Ed etimologicamente?

Sono caratterizzate da un seguito di seni, mi suggerisce l’amato Aldo Gabrielli, e mi sembra una definizione perfetta per il Roland Barthes che parla di desiderio, che scrive tradotto da Renzo Guidieri Frammenti di un discorso amoroso.

Ai frammenti (uno e due) che ho già amato aggiungo i SENI della SINUOSITA’ di oggi: immagino i corpi della scrittura e della letteratura: rotondi, percorsi, leggibili al tocco, evidenti, reali, o (di)segni…

 

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Tamara de Lempicka

Domenica sono stata a Torino, a passeggiare tra i negozi e i ristoranti chiusi, e poi alla mostra su Tamara de Lempicka, che mi ha felicemente riempito gli occhi di occhi gelidi e vitrei, diagonali, taglienti sugli spigoli e le morbidezze dei seni e delle pance di queste proiezioni e variazioni dell’artista, in vari colori (freddi) e studi. (altro…)

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[ wellness prison ]

Cammino nuda e ferita nel freddo del 16 agosto, con pensieri di rabbie e di fughe, e libri che non riesco a leggere.

>>Perché mi impiglio nelle parole, Elisio, avevi ragione, ma non in quel modo che – dici – fa innamorare le donne:

Luna impigliata

io oggi boccheggio un po’ e questi due punti li odio,, vorrei ci fosse qualcun@ nella mia vita a cui non servisse dare: spiegazioni.

– – –

Elle était traductrice et voyageuse. Quando non traduceva, viaggiava; quando non viaggiava, traduceva. Più spesso che poteva, viaggiava e traduceva e scriveva di traduzione (su questo blog) e viaggi (su un altro blog)… 

Le fotola prima l’ho trovata qui; la seconda l’ho modificata a partire da qui e nel farlo ho notato cosa c’è davvero a impigliare la luna, andando oltre al nero che vedo sul mio monitor a risoluzione sbagliata…; la terza è qui, e ci potete arrivare anche cliccandoci su.
Di questo blog in (continuo) cambiamento: puoi ricevere gli articoli via mail seguendo le istruzioni in alto a destra (o in basso al centro se leggi questo blog da smartphone)…
Qualcosa resta impigliato (e ci salva?)

Qualcosa resta impigliato (e ci salva?)

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La rayuela Appena lui le amalava il noema, a lei sopraggiungeva la clamise e cadevano in idromorrie, in selvaggi ambani, in sossali esasperanti. (altro…)

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Love

Ho già detto qui e qui che insegno in un istituto di istruzione superiore alberghiero e che ho studenti di tante nazionalità diverse, a volte impossibili da decifrare (il che rende l’esercizio ancora più interessante)… (altro…)

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2 parole 5 lettere : amoretradotto

L’altra volta leggevo una mia alunna albanese “sperare” in piemontese che la verifica sul passé composé francese andasse bene… Mi colpiva che

le parole che sopravvivono dei dialetti sono quelle che ci riguardano più da vicino: quelle che riguardano i sogni, le speranze, i sentimenti…

Oggi è la volta di un’altra ragazza albanese. Posta sulla sua bacheca facebook le foto scattate in classe con la compagna di scuola italiana e sotto le scrive:

Sei bellissima zemra!

Se non mi sto sbagliando, “zemra” è verbo e sostantivo albanese per l’amare e l’amore italiani.

Mi innamoro di quest’uso istintivo delle ‘sue’ cinque lettere dove in Italia ci aspetteremmo le nostre.

Mi perdo a pensare al suono diverso dei sentimenti a longitudini diverse: per me “zemra” sa di zenzero fresco ed erbe aromatiche secche! L’amore è più tondo e più gonfio, l’amare più scivoloso. In francese l’amour è toujours e lo canta Edith Piaf, l’amer è anche amaro ed è il mare, è più blu, sfuma nel viola.

Mi chiedo che suono e che odore e colore ha “zemra” per quell’amica italiana abituata fino a ieri ad amare nella mia stessa lingua.

…E vorrei dirvi, ragazze, continuate a insegnarvi e godervi l’amore in tutte le lingue e le forme che conoscete e suggeritemene un po’, io sono pronta a imparare!

teach & love & imagine

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pure il piemontese

Come insegnante in un istituto di istruzione superiore alberghiero alle prese con studenti più o meno motivati allo studio del francese, ho deciso di creare un profilo facebook che non uso mai se non per comunicare sui gruppi di classe e per ricevere o spedire messaggi privati che riguardino interrogazioni, assenze da recuperare…

Avendo assegnato degli esercizi di ripasso il lunedì per domani, (altro…)

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Paris - Sculpture (J'aime ma femme)

Mentre condividevo questo post della Casa Editrice Gallimard (e lo traducevo), ho deciso di modificare le impostazioni del mio profilo facebook e visualizzarlo, d’ora in poi, in francese.

Poiché sono innamorata della traduzione (anche quando si tratta della localizzazione di un social network), mi sono guardata un po’ attorno con curiosità e ho scoperto:

– che il facebook francese ti invita a “esprimerti” quando pubblichi uno status

– che sulle foto, i commenti, le cose che ti piacciono puoi cliccare “J’aime”… e mi sembra che resti più in sospeso del “Mi piace” italiano (in cui mi sembra esserci per forza un sottinteso). Mi sembra che il facebook francese mi faccia dire “io amo”: “io amo in generale”, “io amo tutto“…

J'aimeExprimez vous

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La parola contraria

[Qui la versione originale francese]

Dopo l’attacco alla redazione parigina di “Charlie Hebdo” (di cui ho parlato a caldo qui e a mente un po’ più fredda qui), si è parlato tanto di Libertà d’espressione. Per questo motivo condivido la foto che la casa editrice Gallimard ha pubblicato su Facebook. Buon viaggio mentalinguistico con Erri De Luca sulla parola sabotare…

Una riflessione sulla libertà d’espressione e la parola contraria

Rivendico il diritto di utilizzare il verbo “sabotare” come previsto dalla lingua italiana.
Non si può ridurre utilizzandolo solo nel senso di distruzione materiale, come pretenderebbe l’accusa di questo processo.
Per esempio: uno sciopero, in particolare di tipo selvaggio, senza preavviso, sabota la produzione di uno stabilimento o un servizio.
Un soldato che esegue male un ordine lo sabota.
L’ostruzionismo parlamentare contro un progetto di legge lo sabota. Le negligenze, volontarie o meno, sabotano.
(…)
L’accusa vorrebbe che il verbo “sabotare” avesse un unico senso. In nome della lingua italiana e della ragione, rifiuto la limitazione di senso.
(…)
Accetto volentieri una condanna in tribunale, ma non una riduzione di vocabolario.”

Erri De Luca.

(Autore di una vasta bibliografia e uno degli scrittori italiani più letti al mondo, Erri de Luca è sotto processo per aver sostenuto il movimento NO TAV che si oppone alla costruzione della linea dell’alta velocità tra Francia e Italia)

 

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La parole contraire

[Qui la traduzione italiana]

Après l’attaque de la rédaction de “Charlie Hebdo” à Paris (j’en ai parlé en italien ici et ici) on a parlé beaucoup de Liberté d’expression. Je veux donc partager la photo de la Maison d’Edition Gallimard que j’ai trouvé sur Facebook et voyager (mentalement!) avec eux et Erri De Luca sur le mot “SABOTER”… (altro…)

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love letters

Facciamo così. Diciamoci che quella tra me e te è la storia d’amore più platonico io abbia mai avuto (“amore platonico” è diverso da “tutte le mie fantasie e i miei viaggi su qualcuno/a che non ha per me né viaggi né fantasia”: è nel senso comune un amore a distanza e non fisico). Diciamoci pure, se vuoi, che è colpa mia (e poiché non è un blog d’amore né di sesso il perché lo sappiamo io e te). Diciamoci un sacco di cose e il punto è questo: diciamoci. Parliamoci ti prego, scriviamoci ancora. Sei l’unica persona con cui mi impiglio a scrivere così bene e mi piace così tanto.

Vorrei dirti: non mi frega di rivederti, che mi chiami, che mi inviti, ma scrivimi. Ché un gioco così io ce l’ho solo con te, e poi ci sono due mail e un bigliettino con quell’altro ma non è amore nemmeno platonico, solo gioco, ed è in francese e molto bello ma molto diverso: è approfittarsi di tutti quei silenzi che il francese scrive ovunque (le -s, le -e…) e quelle espansioni dalla letterarietà del segno (i dittonghi lunghissimi con pronunce brevissime) e delle liaisons (legami) tra le parole per scrivere frasi italiane con grafie francesi, tipo

As paix tôt ou n’a tout à riz se poste ah !

Ce paire aux dinos!

Facciamo così io e te, invece. Niente lettere silenziose (che non sono inutili ma usabili appunto in diversi modi), niente sforzi. Solo le storie che inventiamo così facilmente e la poesia che viene fuori a raccontarle (le nostre storie in sé non sono poetiche affatto)… Storie platoniche senza simposio e con ben poco iperuranio: scriviamole!

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desolation detail

Da piccola mi aveva colpito la storia di Pierino e il lupo. Pierino ogni giorno esce di casa e quando arriva al fiume si mette a urlare “Al lupo! Al lupo!” senza motivo. Qualcuno corre a salvarlo il primo giorno, scopre che non ce n’era motivo, e lo avverte di smetterla di gridare al lupo quando il lupo non c’è, o non verrà più creduto quando il lupo ci sarà davvero. Il secondo giorno (altro…)

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Cosa fare quando si rimane impigliate a scriversi con persone che hanno tutte le parole “giuste”, e tutti gli atteggiamenti “sbagliati”?

wire hands

fotografia modificata a partire da qui

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(violare) Burano

La scorsa settimana sono stata all’ex Ospedale Psichiatrico di Genova in occasione di Quarto Pianeta 2014, ma più che seguire le performance in programma mi sono persa (scusate) tra le mostre e le stanze e le persone di questo edificio gigantesco, assurdo, queer, denso….. (altro…)

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Soffitto

 

“Esaminare”, “esplorare”… Cosa si fa coi soffitti? Perché in italiano i soffitti si fissano, ma per questa donna che si fissa su tutto e che “gaze” and “stare” everything l’autore del capitolo che costituisce la mia prova di traduzione ha finalmente scelto un altro verbo e approfondito la mania andando nello specifico (e trattandola come un fatto più che un ricordo pieno di noia o peggio di rabbia) e io non voglio fare quella superficiale, che ne parla come se fosse un altro fisso generico sguardo perso. Voglio che si capisca che in quella camera da letto è in atto anche in questo momento una serious conversation with herself. Che lei e herself stanno discutendo del soffitto. Argomentando, anche. Che si concentrano sulla decorazione. Voglio che sia chiaro tutto lo smarrimento (non necessariamente negativo, ma proprio quel momento in cui non sai cosa – : cosa dire cosa pensare cosa credere cosa hai capito di lei…) di quest’uomo che ricorda quella ed altre volte in cui si è trovato ad assistere a un dialogo (muto) del genere. Che si riesca a percepire che comunque in quel momento c’era amore. Per quella strana indecifrabile fidanzata fissata e assente.

Chiedo aiuto alla rete e al Gabrielli, poi continuo a tradurre.

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[Doveva essere un post, ne son venuti fuori di più… Ne sto pubblicando uno ogni due giorni a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno. Questa è la terza puntata. La prima puntata con introduzione ben fatta è qui, la seconda puntata è qui, la quarta sarà qui]

Chiudevo il post precedente con due battute sulle persone razziste e su quelle monogame… A proposito di monogamia: “poligamia“.

certificato adozione lemma POLIGAMIA

Questa parola finalmente non mi dispiace. Si tratta di una delle parole adottabili per #AdottaUnaParola, iniziativa (altro…)

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[Doveva essere un post, ne son venuti fuori di più… Ne sto pubblicando uno ogni due giorni a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno. Questa è la seconda puntata. La prima puntata con introduzione ben fatta è qui, la terza puntata sarà qui, la quarta qui]

 

Giacché parlando di “femminicidio” ho citato “le donne” e le donne come le vedono “loro”, passo a una parola entrata in auge solo recentemente e che riguarda (scontrandovisi? ma non mi piace comunque) l’idea di “donna = mamma” che cercano di passarci a tutti i costi come necessaria e ovvia. Mi riferisco a: “baby-park” o “baby-parking“.

babypark

Sono quei luoghi in cui (altro…)

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[Doveva essere un post, ne son venuti fuori di più… Ne pubblicherò uno ogni due o tre giorni a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno. Negli altri, i primi due paragrafi li avrete già letti… Se volete saltateli! Troverete poi la seconda puntata qui, la terza qui e la quarta qui.]

 

Fine anno. Sui social network impazzano giochini vari e moderne catenedisantantonio (che virtuali se non altro sono meno care di quelle di quando ero piccola io, quando come minimo ti venivano a costare dieci francobolli) che ti invitano in un modo o nell’altro a fare bilanci, stilare classifiche, prendere decisioni su cosa vuoi tenere e cosa vuoi cambiare, stabilire buoni propositi, inoltrare regali virtuali.

(altro…)

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alfabeto

La mia madre l’ho chiamata sasso, 
perché fosse duratura sì, 
ma non viva. 
I miei amici li ho chiamati piedi, 
perché ero felice solo 
quando si partiva. 
Ed il mio mare l’ho chiamato cielo, 
perché le mie onde arrivavano 
troppo lontano. 
Ed il mio cielo l’ho chiamato cuore, 
perché mi piaceva toccarci dentro il sole 
con la mano. 
Non ho mai avuto un alfabeto tranquillo, servile, 
le pagine le giravo sempre con il fuoco. 
Nessun maestro è stato mai talmente bravo, 
da respirarsi il mio ossigeno ed il mio gioco. 
Ed il lavoro l’ho chiamato piacere, 
perché la semantica è violenza 
oppure è un’opinione. 
Ma non è colpa mia, non saltatemi addosso, 
se la mia voglia di libertà oggi è anche bisogno 
di confusione. 
Ed il piacere l’ho chiamato dovere, 
perché la primavera mi scoppiava dentro 
come una carezza. 
Fondere, confondere, rifondere 
infine rifondare 
L’alfabeto della vita 
sulle pietre di miele 
della bellezza. 
Ed il potere 
nella sua immensa intelligenza 
nella sua complessità. 
Non mi ha mai commosso 
con la sua solitudine 
non l’ho mai salutato come tale. 
Però ho raccolto la sfida, 
con molta eleganza e molta sicurezza, 
da quando ho chiamato prigione la sua felicità. 
Ed il potere da quel giorno m’insegue, 
con le sue scarpe chiodate di paura. 
M’insegue sulle sue montagne, 
quelle montagne che io chiamo pianure.

Claudio Lolli, Analfabetizzazione

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ridere

[Report della quarta lezione di LIS. Chi si chiede cos’è la LIS e perché la sto studiando, può leggerlo qui. Questa categoria raggruppa invece i report passati e gli approfondimenti relativi.]

La quarta lezione di LIS – Lingua Italiana dei Segni presso l’Università popolare di Torino non poteva essere più pragmatica.

Abbiamo imparato (altro…)

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imposte

 

 

Così.

A caso.

Questa mattina mi sono venute in mente le “imposte”.

E tanto per cambiare mi ci sono fatta sopra un viaggio mentale (linguistico). (altro…)

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(applausi) (a Milano)

[Report della terza lezione di LIS. Il report della prima lezione è diviso in due parti (una e due), più un’appendice. Il report della seconda lezione è qui. Chi si chiede cos’è LIS e perché la sto studiando, può leggerlo qui]

 

Non sopporto gli applausi “sonori” da molto tempo, a lezione di LIS all’Università popolare di Torino li tollero ancora meno…

 

(altro…)

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[Report della seconda lezione di LIS. Il report della prima lezione è diviso in due parti (una e due), più un’appendice. Chi si chiede cos’è LIS e perché la sto studiando, può leggerlo qui]

 

Mercoledì sera.

Mi avvio verso Palazzo Campana per la mia seconda lezione di LIS – Lingua Italiana dei Segni presso l’Università Popolare di Torino piena di entusiasmo! Ho fatto anche i compiti: segnare il mio nome velocemente, scrivere il tema sulle motivazioni che mi hanno spinto a scegliere il corso, guardare il tg3 con l’interprete LIS qualche volta.

L’entusiasmo è dovuto soprattutto all’ultima delle tre consegne, svolta in bus, nelle pause a lavoro, nei ritagli di tempo,,, con tanto di (altro…)

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[Seconda parte del report della prima lezione di LIS. Qui c’era la prima, qui un commento a margine. Chi si chiede cos’è LIS e perché la sto studiando, può leggerlo qui]

 

Nella versione integrale del tema sulle motivazioni che mi hanno spinto a scegliere di studiare L.I.S. – Lingua Italiana dei Segni presso l’Università Popolare di Torino, dicevo che esistono diverse varietà regionali di L.I.S. (io, ormai tantissimo tempo fa, mi illudevo che potesse trattarsi di una sorta di esperanto con cui comunicare globalmente in modo semplice e intuitivo!) ma non citavo che inoltre, in un certo senso, la Lingua Italiana dei Segni (altro…)

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[Questa nota era un commento al report della 1a lezione di LIS.

Ma come scrivevo nella stesso post la mia mente viaggia continuamente nelle parole, ed eccoci qui.]

 

*PRAGMATICITÀ

La parola “pragmaticità” non esiste. I correttori automatici di Word e WordPress me la segnano in rosso. Sono andata a cercare se io non stessi allora dicendo una qualche cavolata, se si avvicinasse almeno a ciò che intendevo dire.

Su Treccani c’è (altro…)

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Il cielo su Marsiglia

[Prima parte del report della prima lezione di LIS. Segue la seconda parte]

 

Dicevo qui che ho iniziato un corso di LIS – Lingua Italiana dei Segni presso l’Università Popolare di Torino.

Ora c’è che io già di mio sono una che parte con la mente per mille viaggi di fronte a qualsiasi cosa. Mi è di spunto il mondo intero e spesso non riesco a starmi dietro, ho in testa un albero e appollaiarmi su tutti i rami è impossibile, lisciare ogni foglia, accarezzare ogni gemma… (Eppure tutte diventeranno fiori, a primavera!)

Per cui studiare la LIS sta diventando per me il pretesto per riflettere su mille altri temi, più o meno inerenti il linguaggio. (altro…)

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komorebi

Dicevo qualche giorno fa che sono tornata dal mio viaggio di quest’estate, e l’ho fatto giocando con le parole.

Mi sono imbattuta in questo blog che è sia di viaggio, sia di parole. Un blog su cui (altro…)

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hook

Sono tornata.

Risparmio i piagnistei nostalgici su quanto si stava meglio “in vacanza”, in viaggio, anche perché ho deciso che in viaggio mi rimetto presto, a partire dal prossimo weekend (gita a Pisa per La giornata del Traduttore) e poi da marzo verso Europa dell’Est e del Nord con WorkAway

 

Il primo post del post-estate è dedicato a una parola. (altro…)

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